Si dice per semplificare che le oceaniche proteste in Libano (ieri la quarta giornata consecutiva) nascono a seguito di una decisione del Governo libanese di mettere la cosiddetta “tassa su WhatsApp”, poi precipitosamente ritirata. In realtà la cosa è un tantino più complessa.
Cosa chiedono veramente i giovani libanesi?
La “tassa su WhatsApp” è stata la scintilla che ha accesso il fuoco che ormai da troppo tempo covava sotto la cenere.
In realtà quello che i giovani libanesi contestano è tutto il sistema politico, la corruzione ormai radicata e soprattutto il sistema di spartizione del potere che nei fatti complica non poco lo sviluppo del paese, un sistema che ha le radici nel 1992 quando proprio grazie a questo sistema si pose fine alla guerra civile in Libano.
Il problema è che da allora nulla è cambiato, la spartizione del potere è rimasta rigorosamente settaria con l’aggravante che nel frattempo gli sciiti vicini all’Iran, oggi rappresentati da Hezbollah, sono diventati molto più influenti di quanto non fossero nel 1992 portando uno squilibrio evidente nella gestione dello Stato.
Gli “accordi di Taif” che misero fine alla guerra civile libanese stabilivano una spartizione del potere rigorosamente settaria, per cui il presidente, il capo dell’esercito, il capo della Banca centrale fossero stati nominati dalla comunità maronita, il primo ministro dalla comunità sunnita e l’oratore del parlamento dalla comunità sciita. Inoltre, l’Accordo di Taif prevedeva che ci doveva essere un Senato guidato da un presidente druso, ma non è stato ancora istituito. I ministeri sono distribuiti tra tutte le 18 comunità religiose e i loro membri sono rappresentati nella Camera dei deputati.
Il problema è che questo sistema invece di arricchire il paese sfruttando la diversità religiosa, culturale e di civiltà è diventato un peso per il popolo libanese, provocando molti dei problemi che hanno portato alla crisi che il Libano sta attraversando.
Ad aggravare ulteriormente la situazione c’è stata l’evoluzione del movimento sciita di Hezbollah che nel corso degli anni si è trasformato in una sorta di “Stato all’interno dello Stato” con tanto di esercito ben più armato dell’esercito regolare libanese. Un movimento giudicato terrorista che di fatto controlla il Libano controllando tra le altre cose anche l’attuale Presidente della Repubblica, Michel Aoun.
Un assaggio delle attuali proteste, anche se senza la discesa in piazza, si era avuto lo scorso mese di settembre quando a seguito di un discorso del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, nel quale chiedeva ai libanesi di giurare fedeltà all’Iran, molti intellettuali e politici nonché molti giovani, “urlarono” di non essere una provincia iraniana.
Quindi se è vero che una parte dei motivi delle recenti proteste è da ricercare nel sistema politico libanese, per di più fortemente corrotto, è altrettanto vero che i giovani libanesi contestano fortemente Hezbollah tanto è vero che quando ieri Nasrallah ha condannato le proteste i giovani libanesi lo hanno etichettato come “corrotto tra i corrotti” e come “traditore del Libano”.
Ieri il Primo ministro libanese, Saad Hariri, ha promesso ai giovani che il Governo si sarebbe impegnato in “riforme” senza però specificare quali. È un po’ troppo poco per fermare le proteste.
I giovani libanesi vogliono un “reset totale” del sistema politico libanese, vogliono l’allontanamento dei politici corrotti, a partire proprio da Saad Hariri e da Hassan Nasrallah, ma soprattutto non vogliono un Libano schiavo degli interessi stranieri (Iran da un lato, Arabia Saudita dall’altro).
Difficilmente ci riusciranno ma può essere un inizio. Forse per il Libano c’è ancora speranza.