Perché non si parla delle proteste in Libano e in Iraq?

26 Ottobre 2019

In Iraq i manifestanti hanno trovato il coraggio di bruciare le bandiere iraniane, mentre in Libano finalmente i giovani manifestanti sono andati direttamente alla fonte di tutti i problemi, Hezbollah.

Ieri a Beirut quando le proteste contro il gruppo terrorista che tiene in ostaggio il Libano si sono fatte più “ardite” gli Hezbollah hanno fatto partire le loro squadre di picchiatori in motocicletta, qualcosa di molto simile ai Basij iraniani. Solo che ai ragazzi non ci sono arrivati perché l’esercito libanese si è messo in mezzo e ha difeso i manifestanti.

Si dice che le proteste siano iniziate a seguito della decisione del Governo libanese di mettere una tassa su WhatsApp (da qui il termine “WhatsApp intifada”), in realtà quella tassa, quell’ennesimo balzello è stato solo il motivo scatenante.

I ragazzi libanesi protestano perché non vedono per loro un futuro con il Paese che è governato da persone corrotte e legate a potenze straniere e ai loro interessi (Iran e Arabia Saudita), con uno Stato nello Stato (Hezbollah) che rischia di trascinare il Libano in una guerra con Israele che sarebbe devastante, con una disoccupazione al 36% e un debito pubblico altissimo.

Fino a pochi giorni fa i manifestanti in Libano hanno cercato di non prendere di mira un singolo partito mettendo tutti sullo stesso piano, ma negli ultimi giorni le proteste sono diventate sempre più mirate ad Hezbollah e questo non è piaciuto al loro capo, Hassan Nasrallah.

È da questo che ieri è scaturita la decisione di scatenare i picchiatori in motocicletta, i Basij libanesi, che però in maniera davvero sorprendente (e inattesa) si sono trovati i militari libanesi a fare da scudo ai ragazzi e sono stati costretti a fare marcia indietro.

Ieri in Libano è stato superato un confine che difficilmente potrà essere ignorato, quello della accusa diretta al gruppo terrorista sciita legato all’Iran che tiene in ostaggio un intero popolo, una intera nazione.

Anche in Iraq proseguono le proteste. Ieri sono state bruciate per la prima volta bandiere iraniane mentre i media di Teheran mostravano una storia completamente diversa con alcuni miliziani che bruciavano quelle americane e israeliane.

Gli iracheni, sciiti o sunniti che siano, non vogliono dipendere dalla politica iraniana e dagli interessi degli Ayatollah. Esattamente come i giovani libanesi vogliono uno Stato meno corrotto e meno legato agli interessi stranieri.

Ma in Iraq, se possibile, la situazione è più complessa rispetto al Libano. L’Iran con la scusa della protezione dei pellegrini sciiti ha inviato in Iraq migliaia di “poliziotti”, in realtà milizie sciite legate ai Guardiani della Rivoluzione Islamica che si sono unite a quelle già presenti in abbondanza in territorio iracheno.

L’Iran di fatto controlla militarmente buona parte del Paese e non si sa fino a che punto permetterà ancora nuove proteste e nuovi attacchi al regime iraniano.

Esattamente come il Libano anche l’Iraq rischia di essere trascinato in una guerra finalizzata a difendere gli interessi e le ambizioni iraniane. E così uno dei Paesi potenzialmente più ricchi del mondo vive nella miseria più assoluta solo per favorire gli interessi di Teheran.

Sarebbe bello che i media occidentali coprissero con più rigore e attenzione le proteste in Libano e in Iraq, ma sembra che quando ci sono di messo gli Ayatollah iraniani tutto venga minimizzato.

E così ci si inventa la “WhatsApp intifada” o i manifestanti iracheni che bruciano bandiere americane e israeliane quando invece bruciano quelle iraniane. C’è una strana sudditanza verso gli Ayatollah e verso il loro piano criminale per il Medio Oriente.

Non vorremmo che essendo gli iraniani i maggiori nemici di Israele qualcuno pensi di “oscurare” la corsa verso il baratro in cui Teheran sta trascinando tutto il Medio Oriente.

Franco Londei

Politicamente non schierato. Sostengo chi mi convince di più e questo mi permette di essere critico con chiunque senza alcun condizionamento ideologico. Sionista, amo Israele almeno quanto amo l'Italia

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