In un mondo occidentale ormai quasi totalmente in pace dove fanno eccezione le crisi innescate dalla Russia nell’est europeo, il mondo islamico continua ad essere perennemente attraversato da guerre e da conflitti non sempre però riconducibili alla religione ma anche al controllo delle ricchezze a causa della cosiddetta “maledizione delle risorse” che evidentemente non interessa solamente l’Africa.
E’ vero che tra quelle che il Global Conflict Tracker classifica come “crisi critiche” vi sono tre crisi che non riguardano il mondo islamico (Corea del Nord, le tensioni nel mare cinese orientale e quelle potenzialmente più pericolose riferite al mare cinese meridionale), ma è altrettanto vero che tra le altre crisi critiche e tra quelle classificate come “significative” il mondo islamico la fa da padrone (teniamo presente che il Global Conflict Tracker classifica i conflitti basandosi sul pericolo che rappresentano per gli Stati Uniti e non per il mondo intero, ma se sono critiche per gli USA lo sono automaticamente anche per il resto del mondo).
Anche il Sud America è praticamente libero da guerre dopo che in Colombia si è raggiunto un accordo di pace che ha messo fine alla guerra civile. La pace sta scoppiando ovunque meno che nel mondo islamico. Perché?
Nel rispondere a questa domanda tempo fa Scott Gilmore scriveva che:
innanzitutto, scartiamo l’idea che l’Islam stesso sia intrinsecamente più violento. La stragrande maggioranza delle guerre nel secolo scorso è stata combattuta dalle nazioni cristiane. E, come ha sottolineato lo scrittore Steven Pinker, in tutto il mondo la stragrande maggioranza delle uccisioni intenzionali sono a livello individuale e i tassi di omicidio nei paesi islamici sono in genere solo un terzo rispetto al mondo non musulmano. In confronto, la Louisiana, uno degli Stati più religiosi d’America con il 90% della popolazione che si identifica come cristiana, ha un tasso di omicidi del 50% superiore a quello dell’Afghanistan. Ci sono altre spiegazioni…
Gilmore identifica i motivi di un mondo islamico perennemente in guerra in quello che abbiamo chiamato “la maledizione delle risorse”. Lui sostiene che:
molti degli attuali conflitti islamici coinvolgono nazioni produttrici di petrolio, che potrebbero risentire della “maledizione delle risorse”. Gli economisti hanno notato che i paesi con un’abbondanza di risorse naturali possono paradossalmente avere meno sviluppo economico, istituzioni più deboli e una maggiore disuguaglianza rispetto ai paesi con meno risorse. Questo perché il guadagno facile proveniente dal petrolio è difficile da gestire e può facilmente distorcere l’economia e destabilizzare la società…
Il ragionamento non è del tutto sballato ma non credo che basti a giustificare il fatto che in un mondo che si muove verso la pace globale e agisce per raggiungere questo obiettivo (non sempre in maniera corretta) il mondo islamico rimanga quasi l’unico a generare crisi. E’ come se, basandosi su quanto dice Gilmore, il problema fosse riconducibile unicamente alla mancanza di sviluppo. Purtroppo non credo che sia così o quantomeno è un discorso che potrebbe riguardare i paesi africani a maggioranza islamica, ma non contesti come la Siria, l’Iraq e persino l’Afghanistan.
No, personalmente credo che dipenda da quello che negli ambienti degli analisti chiamano la “regressione del mondo islamico”. Qui non siamo nel campo del mancato sviluppo, è peggio. Siamo nel campo della regressione dello sviluppo, persino di quel poco che comunque il mondo islamico era riuscito ad implementare. E la ragione è prettamente religiosa, da questo non si scappa e non ammetterlo significa girare intorno al problema.
A differenza di quanto successo in ogni altra religione del mondo dove la religione stessa è progredita verso una mentalità di pace e convivenza, il mondo islamico, che aveva iniziato un processo simile, è improvvisamente tornato a quella mentalità violenta e di conquista che lo ha caratterizzato nei secoli scorsi. Sono tornate di moda parole come “Jihad” come “shahid”, parole che evocano le conquiste islamiche del passato, il sacrificio nel nome di Allah, la conquista islamica del mondo.
Alcuni danno la colpa di tutto questo, di questa regressione, ai conflitti in Afghanistan e in Iraq. In realtà ritengo che l’unica cosa che hanno fatto quei conflitti è stato scoprire il fuoco che covava sotto la cenere. A dimostralo ci sono le cosiddette primavere arabe, nate con l’intento di far progredire il mondo islamico e finite per favorire la sua regressione e i conseguenti conflitti che ne sono seguiti. Non c’è volontà di progredire nel mondo islamico, manca quasi totalmente una componente laica e il Corano (insieme alle varie interpretazioni che ne danno) rimane il faro di qualsiasi politica venga implementata in un qualsiasi paese islamico, a parte poche ma rare lodevoli eccezioni.
E’ stato il netto rifiuto al progresso che volevano “imporre” le primavere arabe a scatenare l’estremismo islamico, non le guerre dell’occidente.
Attenzione però a non confondere “progresso” con “sviluppo” come fa Scott Gilmore. Non sempre lo sviluppo porta anche al progresso e a dimostralo c’è la evidente regressione del mondo islamico in occidente dove ragazzi immigrati di seconda e terza generazione si sono votati allo Jihad invece che condurre una vita “normale” come i loro coetanei occidentali. La guerra in Iraq o in Afghanistan non ha nulla a che vedere con un ragazzo per esempio francese, nato e cresciuto in Francia, che decide di prendere la strada dello Jihad. C’entra invece la religione, il Corano posto sopra qualsiasi cosa, comprese le leggi nazionali. Se qualcuno sostiene il contrario ci sta raccontando qualcosa di lontanissimo dalla realtà.
E allora, per tornare al titolo iniziale, perché il mondo islamico è in guerra? Perché in un mondo dove regna (più o meno bene) la pace e la democrazia, il mondo islamico continua con le sue guerre e con lo Jihad, la guerra santa? Temo che la risposta stia in una sola parola: Corano. Possiamo girarci intorno quanto vogliamo, possiamo parlare di “maledizione delle risorse” o di mancato sviluppo, ma la cruda realtà è che il Corano non prevede il progresso. E in mancanza del progresso quello che rimane sono le guerre.