Jihad globale: in Africa la nuova frontiera

14 Marzo 2016

La Jihad globale ha capito quello che l’occidente non ha invece percepito: in Africa il terreno di conquista è molto fertile per l’Islam estremista e potenzialmente vale molto di più di qualsiasi altro scenario al mondo.

L’attacco di ieri in Costa d’Avorio è solo l’ultimo di una lunghissima serie di attentati di origine islamica in Africa e non solo contro obiettivi occidentali, anzi, nella maggioranza dei casi sono attacchi contro obiettivi civili africani dove gli interessi occidentali contano poco o nulla. La Jihad globale cerca di concretizzare la spaventosa avanzata dell’Islam in Africa “monetizzando” il gran numero di fedeli e soprattutto usando la povertà per fare proselitismo e propaganda anti-occidentale. E a giudicare dal quadro della situazione ci sta riuscendo.

Le aree di crisi terreno fertile per la Jihad globale

La Jihad globale in Africa abbraccia praticamente tutta la parte settentrionale e centrale del continente. Dal nord Africa dove Libia, Tunisia, Algeria, Marocco ed Egitto sono da tempo sotto il mirino dei Jihadisti, all’Africa occidentale dove la Jihad globale ha iniziato a operare in Mali per poi espandersi a macchia d’olio in Burkina Faso, in Senegal, in Liberia e adesso anche in Costa d’Avorio. In Africa centrale la Jihad globale opera in Nigeria, Repubblica Centrafricana, in Ciad e in parte del Sudan, mentre in Africa orientale i punti caldi sono in Somalia, Etiopia, Eritrea e Kenya. Di recente ci sono segnali preoccupanti di una infiltrazione jihadista anche in Repubblica Democratica del Congo, già duramente provata da una guerra civile che in 20 anni ha fatto cinque milioni di morti. La Jihad globale è riuscita con successo a insinuarsi in ogni area di crisi africana approfittando in molti casi delle sbagliate politiche occidentali e adesso sarà molto difficile contrastarla.

La teologia del container applicata alla Jihad globale

Da diverso tempo lanciamo l’allarme in merito al collegamento diretto tra Jihad globale e povertà. L’Islam in Africa prospera dove prospera la povertà e lo fa usando una vecchia tecnica dei missionari cristiani, quella che qualcuno definisce “teologia del container” che consiste nel fare proselitismo attraverso l’assistenza spinta. Questa tecnica diventa addirittura devastante dove esiste una crisi bellica come per esempio in Somalia, in Ciad e in Repubblica Centrafricana. I “missionari jihadisti” non perdono occasione per fare proselitismo attraverso la teologia del container ben finanziata dai Paesi del Golfo e il risultato è stato un imponente avanzamento dell’Islam radicale in tutto il continente africano. L’odio crescente nei confronti dell’occidente sta facendo il resto portando una enorme massa di “arrabbiati” verso la Jihad globale.

La mappa della Jihad globale in Africa

Non è difficile tracciare una mappa dei “punti caldi” della Jihad globale in Africa.

  • Partiamo dalla Somalia che è senza dubbio la madre di tutte le aree di crisi legate all’Islam radicale. E’ la crisi più vecchia e cronica, abbandonata a se stessa da decenni la Somalia torna al centro dell’attenzione mondiale ogni volta che gli Al-Shabaab attaccano fuori dal territorio somalo, in particolare in Kenya, per poi rientrare nell’oblio non appena passa l’impatto mediatico. L’Unione Africana è presente nel Paese con un contingente armato che garantisce un Governo a Mogadiscio ma buona parte del Paese è in mano ai terroristi islamici legati ad Al Qaeda denominati Al-Shabaab.
  • Il Maghreb è l’altro punto caldissimo della Jihad globale in Africa. Qui opera Al Qaeda nel Maghreb, un gruppo guidato dall’algerino Mokhtar Belmokhtar che proprio ieri ha rivendicato l’attacco in Costa d’Avorio. Di recente questo gruppo si sarebbe avvicinato allo Stato Islamico pur mantenendo il vecchio nome anche se questo ci sono voci contrastanti. Oltre agli attentati in Nord Africa e nell’Africa occidentale Al Qaeda nel Maghreb usa il rapimento di stranieri per finanziarsi.
  • La Nigeria è il terzo punto caldissimo nella mappa della Jihad globale in Africa. Qui opera il gruppo di Boko Haram che in pratica controlla tutto il nord della Nigeria attraverso un vera e propria politica stragista e di terrore. Boko Haram era inizialmente nato come una costola di Al Qaeda in Africa, ora si è legato allo Stato Islamico. Migliaia di terroristi di Boko Haram sarebbero in Libia per dare manforte all’ISIS nella conquista dell’ex colonia italiana. Di recente Boko Haram ha ampliato la sua influenza anche in Niger, in Ciad, in Camerun e nel Benin.

Cosa fare per contrastare la Jihad globale in Africa?

Difficile dire cosa bisogna fare per contrastare l’avanzata della Jihad globale in Africa, gli errori del passato fatti dalle politiche occidentali sono ormai irreversibili. Innanzi tutto bisognerebbe cominciare con l’ammettere che il problema c’è ed è reale e poi iniziare al affrontarlo seriamente con politiche di contrasto militare abbinate a politiche di sviluppo. Non sto dicendo di inviare eserciti a destra e manca in Africa ma di fornire un supporto militare e di intelligence a quei governi che contrastano seriamente la Jihad globale in Africa. Fino ad oggi questa politica è stata implementata solo dalla Francia in Ciad e in Repubblica Centrafricana con discreti risultati. Ma è troppo poco. La Somalia, la Nigeria e soprattutto la Libia devono diventare le priorità per la politica occidentale. Sono problemi che vanno affrontati senza ulteriori rinvii. Di recente anche l’Italia si è mossa bene nel campo dell’aiuto allo sviluppo, anche se ancora siamo solo all’inizio. L’Africa deve essere posta in cima all’agenda europea senza la vecchia paura di apparire neo-colonialisti. Ci sono delle cose che vanno fatte e non si possono più rimandare se si vuole fermare l’avanzata della Jihad globale in Africa. E’ prima di tutto un problema di sopravvivenza dell’occidente, prima ancora di un problema meramente politico.

Scritto da Claudia Colombo

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