Quante volte le parole “guerra” e “petrolio” sono state purtroppo accomunate nei peggiori conflitti del mondo? Questo binomio è particolarmente valido in Sudan, il più grande Stato dell’Africa che galleggia letteralmente sul petrolio.
Una ricerca condotto da un gruppo di associazioni e attivisti per la pace svedesi, la European Coalition on Oil in Sudan (ECOS), rilasciata la scorsa settimana ha evidenziato come, nella guerra in Darfur, un ruolo importante nel deterioramento della situazione l’abbiano avuto tre grandi compagnie petrolifere, la svedese Lundin, la malese Petronas e l’austriaca OMV.
Le tre compagnie hanno formato un consorzio per lo sfruttamento di alcuni giacimenti in Darfur, in particolare quelle del cosiddetto “Block 5A” per il quale hanno sottoscritto nel 1997 un contratto con il Governo sudanese. Il Block 5A è rinomato per una caratteristica del suo petrolio che necessita di una raffinazione molto veloce rispetto ad altri tipi di petrolio in altri giacimenti, il che lo rende di altissima qualità, paragonabile, per intenderci, al petrolio libico. L’inizio dello sfruttamento del Block 5A da parte del consorzio scatenò nell’area un durissimo conflitto che andò avanti per diversi anni e durante il quale furono perpetrati dall’esercito sudanese i peggiori crimini possibili, tra i quali attacchi indiscriminati contro i civili, saccheggi, stupri, torture e il rapimento di bambini. Migliaia di persone furono massacrate mentre centinaia di migliaia furono costrette a fuggire per mettersi in salvo. Secondo il rapporto, un ruolo importante in tutto questo lo ebbero le tre compagnie petrolifere che con le loro strutture avrebbero fornito all’esercito sudanese e ai Janjaweed le basi di appoggio per gli attacchi ai civili. L’obbiettivo, poi raggiunto, era quello di prendere il completo controllo dell’area per proseguire con l’estrazione del petrolio, se poi per fare questo era necessario far spostare centinai di migliaia di civili dall’area, il problema era secondario. Il rapporto evidenzia tutti gli atti compiuti dalle tre compagnie per appoggiare il massacro di civili. In particolare il rapporto contiene la testimonianza di un pastore presbiteriano, tale James Koung Nimrew, che ha raccontato come per ottenere il controllo del Block 5A non si sia esitato a bruciare villaggi, massacrare la popolazione, abbattere gli animali e distruggere i raccolti.
Le tre compagnie hanno negato decisamente di aver in qualche modo favorito l’esercito sudanese nella sua “opera”, ma le testimonianze e i fatti circostanziati presenti nel rapporto della ECOS non lasciano tanto margine ai dubbi.
Le stesse tre compagnie petrolifere, insieme ad altre (Elf-TotalFina, BP, China National Petroleum Company, Talisman Energy Inc, ecc. ecc.) le ritroviamo nei documenti relativi ad un’altra zona calda del Sudan, anch’essa ricchissima di petrolio, quella dei Monti Nuba e del Sudan Meridionale.
Anche in questo caso, come nel caso del Darfur, le compagnie avevano firmato con Khartoum un accordo di sfruttamento dei giacimenti petroliferi in un periodo antecedente al 2005, cioè prima dell’accordo di pace tra Nord e Sud Sudan che prevedeva, tra le altre cose, la divisione delle risorse. Il passaggio di immense aree estrattive sotto il controllo del Governo Provvisorio del Sudan Meridionale (Goos) ha di fatto invalidato l’accordo precedentemente raggiunto tra le compagnie petrolifere e il Governo sudanese, rendendo necessaria una rinegoziazione dei contratti e in particolare di quelli relativi ai Monti Nuba e alla regione di Abjei, guarda caso i due punti attualmente più caldi dove avvengono quotidianamente scontri armati tra le genti locali e le milizie finanziate da Khartoum. Come per il Darfur, si vuole allontanare la popolazione locale per avere pieno accesso allo sfruttamento degli immensi giacimenti petroliferi. Secondo diverse testimonianze, esattamente come accadde nella regione del Darfur, anche in questo caso le compagnie petrolifere metterebbero a disposizione dei miliziani filo-governativi le loro strutture che comprendono, tra le altre cose, alcuni piccoli aeroporti nemmeno segnati nelle cartine. L’obbiettivo è sempre quello: prendere il controllo delle regioni di interesse per fare in modo di poter sfruttare i giacimenti petroliferi e di onorare il contratto firmato con Khartoum infischiandosene di tutto il resto.
Le compagnie petrolifere, con i loro grandissimi mezzi, possono mettere a disposizione del Governo sudanese qualsiasi tipo di arma, anche quelle per le quali è in vigore un embargo internazionale. Di recente è stato scoperto un notevole traffico di pezzi di ricambio per aerei da guerra (di cui la vendita e vietata al Sudan) che passava proprio per una società con sede a Dubai che faceva capo a una compagnia petrolifera.
Come si vede il rapporto diffuso dalla European Coalition on Oil in Sudan (ECOS) è solo la punta dell’iceberg. Le compagnie petrolifere sono direttamente impegnate nei conflitti che affliggono il Sudan molto più di quanto si pensi. Il problema ora è che proprio le compagnie petrolifere stanno finanziando quella che potrebbe diventare la prossima devastante guerra in Sudan, quella tra Nord e Sud, una guerra finita nel 2005 che aveva provocato milioni di morti e di sfollati e che, se oggi dovesse riprendere, potrebbe incendiare tutta l’Africa Sub-sahariana.
Bianca B.