Dopo la Palestina il Vaticano riconosca anche lo Stato Islamico

Ieri il Vaticano ha annunciato di voler riconoscere la Palestina, non si sa onestamente su quali basi dato che la stessa Palestina non ha alcun requisito per poter essere riconosciuta, anzi, se andiamo a vedere a fondo ne ha molti di più lo Stato Islamico. Quindi è incoerente da parte del Vaticano riconoscere la Palestina senza fare altrettanto con lo Stato Islamico.

Ma vediamo nei dettagli perché lo Stato Islamico ha più requisiti della Palestina per essere riconosciuto internazionalmente.

CONFINI

  • La Palestina non ha confini riconosciuti o riconoscibili. E’ un soggetto astratto nato dalla fantasia di uomini egiziani, giordani e sauditi
  • Lo Stato Islamico, come la Palestina, non ha confini riconosciuti o riconoscibili. Anch’esso è nato dalla fantasia di uomini egiziani, giordani e sauditi con l’aggiunta di personaggi iracheni come il Califfo Abu Bakr al-Baghdadi.

POPOLO

Non esiste un popolo palestinese come non esiste un popolo dello Stato Islamico. Esistono abitanti di determinate aree che si sono auto-attribuiti il titolo di “popolo” senza avere alcun riscontro storico, senza avere una propria storia, delle tradizioni e neppure dei piatti tipici.

MONETA

Questa è la prima vera differenza tra la Palestina e lo Stato Islamico. Infatti, mentre la Palestina non ha una propria moneta ma usa quella israeliana, il NIS (New Israeli Shekel), lo Stato Islamico ha fatto quello che chiunque ambisca a diventare una realtà di Diritto fa, cioè coniare una propria moneta, il Dinaro, coniato in sette tagli in oro, argento e rame, fatto questo che presuppone che lo Stato Islamico, a differenza della Palestina, abbia un proprio Ministero del Tesoro, una propria zecca e un proprio sistema economico.

ECONOMIA

Come detto lo Stato Islamico ha una propria moneta e la Palestina no, da questo dato di fatto il salto all’analisi comparative delle due economie è breve. Mentre la Palestina non ha alcun sistema economico e dipende completamente dai donatori internazionali, lo Stato Islamico ha un proprio sistema economico, opinabile certo, ma funzionale. Ha una propria produzione di petrolio, un proprio artigianato, un proprio sistema esattoriale, un Ministero dell’Economia vero e proprio che studia vere e proprie strategie per rendere lo Stato Islamico indipendente. La Palestina ha tutto questo solo sulla carta, non ha alcuna strategia economica se non quella di pesare sulla comunitĂ  internazionale, non ha un sistema produttivo funzionale ma solo singoli elementi che senza alcuna regola producono artigianalmente prodotti o manufatti. Insomma, in Palestina non esiste nulla che sia minimamente paragonabile a un sistema economico.

WELFARE

Anche sul welfare la differenza tra Palestina e Stato Islamico è notevole. In Palestina il sistema di welfare è praticamente inesistente. Non esiste uno “stato sociale” e non è mai nemmeno stato studiato. Nello Stato Islamico invece esiste un vero e proprio sistema di welfare che garantisce assistenza sanitaria (che in Palestina è garantita da Israele), pubblica istruzione (che in Palestina è affidata completamente alla UNRWA), un sistema di sostegno economico agli indigenti, ecc. ecc.

Ci fermiamo qui perché ci sarebbe ancora parecchio da scrivere sulle comparazioni tra lo Stato Islamico e la Palestina e sul perché se si riconosce la Palestina tanto più andrebbe riconosciuto lo Stato Islamico. Aggiungiamo solo un paio di note:

  1. la Palestina è governata da un dittatore, Abu Mazen, il cui mandato democratico è scaduto nel 2008. Si fa chiamare “Presidente” ma in realtà è un califfo almeno quanto lo è Abu Bakr al-Baghdadi.
  2. la Palestina è governata con un sistema di Stato di Polizia esattamente come lo Stato Islamico e, proprio come lo Stato Islamico, usa il terrorismo per imporre agli altri i propri ideali.

Allora la domanda che vorremmo porre a Papa Francesco che si accinge a riconoscere la Palestina è: perché a questo punto non riconoscere anche lo Stato Islamico che, come abbiamo visto, non solo è simile alla Palestina in molte cose, ma addirittura ha molti più requisiti per essere internazionalmente riconosciuto.

La nostra non è una provocazione, è solo una analisi dei fatti basata sul concreto. E’ ipocrita parlare di pace, di rispetto dei Diritti Umani, di protezione delle minorane e poi accogliere Abu Mazen in Vaticano, cioè accogliere un dittatore che si regge sul terrorismo, sulla prevaricazione e sulla discriminazione delle minoranze, il califfo di un ipotetico Stato che ha come unico obbiettivo quello di sterminare un intero popolo, quello israeliano.

[glyphicon type=”user”] Scritto da Noemi Cabitza

[glyphicon type=”euro”] Sostieni Rights Reporter

Franco Londei

Politicamente non schierato. Sostengo chi mi convince di piĂą e questo mi permette di essere critico con chiunque senza alcun condizionamento ideologico. Sionista, amo Israele almeno quanto amo l'Italia

8 Comments Lascia un commento

  1. Il Vaticano potrebbe rispondere che lo Stato Islamico adotta politiche statuali di pulizia etnica e di amministrazione della giustizia troppo cruente per essere riconosciute idonee ad un eventuale riconoscimento e che pertanto preferisce aspettare i pronunciamenti internazionali di merito.
    Diversa sarebbe invece la situazione dello Stato Palestinese, che i riconoscimenti internazionali ha cominciato giĂ  ad averli.
    Per quanto concerne le forme di pulizia etnica e di amministrazione cruenta della giustizia, nonché i criteri «asimmetrici» nella distribuzione delle risorse internazionali attuate dalle autorità palestinesi, il Vaticano potrebbe obiettare che queste caratteristiche sarebbero ascrivibili a codici culturali riferibili alla distinzione familistiche e tribali tipiche della cultura palestinese.
    Pertanto sarebbero legittime perchè autoreferenziali in termini culturali.
    Una cultura genuina e popolare va ormai considerata ingiudicabile da terzi.
    Per quanto riguarda la pulizia etnica, questa concernerebbe soprattutto i cristiani – vedi Betlemme dove i cristiani sono passati da maggioranza a minoranza.
    Ma questa pulizia sarebbe graduale, frutto di ingiunzioni individuali, e spingerebbe piĂą che altro ad una migrazione volontaria.
    Non va trascurato neppure che il Vaticano potrebbe ispirarsi in parte anche alle valutazioni espresse da alcuni vescovi arabi cristiani nel corso del sinodo sul medio oriente del 2010.
    In quella sede alcuni di costoro hanno giustificato il comportamento persecutorio dei musulmani verso i cristiani come frutto del «vulnus» che i musulmani e gli arabi in generale subiscono per l’esistenza dello Stato di Israele sulla «loro» terra.
    Naturalmente non mi aspetto dal Vaticano simili argomentazioni, che tuttavia sono nei verbali del Sinodo- anche se non nelle conclusioni- per quanto concerne l’ultimo punto trattato.
    Per gli altri punti devo per forza appellarmi alla necessitĂ  di comprendere in una qualche maniera il senso della comunicazione vaticana.
    Come è intuibile , senza comprensione non si può realizzare vera ed efficace comunicazione.
    E d’ altro canto il Pontefice ha giĂ  dimostrato di accettare nel suo ultimo pellegrinaggio in «Terra Santa» il concetto di pace in termini di relativismo culturale.
    Lo ha fatto quando ha assistito senza battere ciglio alla recita di poesie e testi cantati in favore della pace da parte di squadre di bambini palestinesi educati in scuole i cui programmi predicano l’odio verso Israele e la sua distruzione.
    Come si sa il linguaggio Ă© solo un medium per consentire svariate e legittime «costruzioni”
    del mondo in funzione di una comunicazione dotata di «senso» per l’interno di una comunitĂ .
    Il senso attribuibile dall’ esterno ovviamente conta di meno e in questo caso per niente.

  2. A corollario di quanto rilevato nel mio precedente intervento, mi imbatto per caso in un’intervista odierna rilasciata dal Patriarca Latino di Gerusalemme (un episcopo cattolico) presente a Firenze al «festival delle religioni» ( festival?), tale Fouad Twal, che ovviamente è arabo.
    Questo signore invita naturalmente alla pace.
    Peccato però che nella sua intervista ignori del tutto l’esistenza degli ebrei, escludendoli di fatto sia dalla Storia di Gerusalemme che conseguentemente dalla sua idea di storia della salvezza.
    Infatti costui, che è rappresentante ufficiale in loco della Chiesa Cattolica, afferma tra l’altro che la prima titolaritĂ  di Gerusalemme è cristiana.
    I primi presenti in ordine di tempo sarebbero a suo dire i cristiani: gli altri sono venuti dopo.
    Per sapere questo – dice lui- basta tornare agli Atti degli apostoli.
    A me sembra invece che , se proprio seguiamo il suo consiglio e torniamo agli Atti degli apostoli, non possiamo non accorgerci che i primi cristiani sono ebrei di religione ebraica, nonchè di una società ebraica -e non palestinese nella odierna accezione della parola- e che le Sacre scritture sono ebraiche.
    Ma questo signore non si fa scrupolo di fare a meno degli ebrei e di «scippare» proprio le Sacre scritture agli ebrei facendole diventare cristiane ex abrupto fin dall’origine: quasi che voglia effettuare una grottesca appropriazione storica indebita sotto la forma di una postuma ermeneutica ricerca dell’ «archè», cioè dell’origine al di fuori del tempo.
    Con il che anche la visione storica lineare del Cristianesimo -incentrata sull’ingresso del Cristo nella Storia , va pure a farsi benedire.
    Meglio ridere per non piangere, ma ho sempre piĂą la netta sensazione che se alcuni esponenti del clero – spero solo alcuni- sentono la necessitĂ  impellente di annullare o continuare ad annullare perfino l’esistenza storica degli ebrei per esigenze ermeneutiche, questo non può che esser coerente con la soluzione finale.
    Bravi questi preti però.
    Ciò detto da un non ebreo e nato cattolico.
    Per fortuna non sono stato l’ unico a notare occasionalmente queste primizie, che hanno evidentemente dei precedenti.
    Pochi minuti fa, durante una mia ricerca nel web su questo monsignore ho letto una lettera aperta di Silvana De Mari – nota scrittrice per l’infanzia-di un paio di anni fa a lui indirizzata, pubblicata a suo tempo nel sito di Magdi Allam.
    Io non so se Israele esista per volontĂ  di Dio, come dice la signora De Mari, ma mi sembra opportuno riportare le sue stesse parole quando chiede al prelato se ha il coraggio di dire la veritĂ :
    «la veritĂ  avete il coraggio di dirla? se non l’avete levatevi dalla via di Cristo perchè non siete degni di lui.»
    E ancora: « Lei è un sepolcro imbiancato e Le porto la voce, perché io posso udirla, della Collera di Dio.»

    • se si inseriscono due link il commento va automaticamente in moderazione (e qualche volta nello spam). Tenetelo a mente 🙂

      • Grazie dell’informazione, che non conoscevo.
        Tra l’altro confesso che ho tentato in modo empirico, senza alcuna istruzione preventiva, di inserire un link, in quanto è la prima volta che mi capita di farlo.
        Va precisato che ho digitato male il sussidiario.net, che invece risulta “sussidirio”, che non esiste.

        • In realtĂ  sembra avere un problema anche il sistema dei commenti. Continua a mettere tutto in moderazione quando non dovrebbe

Comments are closed.

Previous Story

Migranti: ennesima farsa europea?

Next Story

Rifugiati e clandestini: il grande inganno europeo ai danni dell’Italia

Latest from Editoriali

joe biden e il creatore onnipotente

L’Onnipotente chiama Biden

A cura del Board editoriale del Wall Street Journal – Signor Presidente, è in gioco l’Onnipotente. Non la divinitĂ  che ha invocato venerdì sera
Go toTop

Don't Miss