Confesso che non è facile parlare di Donald Trump in un momento così delicato per Israele. Da un lato gli israeliani avevano riposto molte speranze sul nuovo Presidente americano dopo otto anni di Obama, speranze che in parte sono destinate probabilmente ad essere ridimensionate. Dall’altro appare evidente che Donald Trump non ha nessuna competenza specifica in politica internazionale, forse meno di quanto ne avesse Obama al suo insediamento alla Casa Bianca, e che per questo sta facendo un enorme minestrone senza prendere posizioni forti in Medio Oriente nel tentativo di accontentare tutti.
La vicenda della condivisione di notizie sensibili provenienti con ogni probabilità dal Mossad con la Russia è l’ultima e forse più grave dimostrazione di incompetenza del Presidente Trump. Escludendo a priori la malafede non resta che l’incompetenza e sinceramente non sappiamo se sia meglio o peggio visti i danni fatti dalla incompetenza di Obama, anche se forse nel caso di Obama c’era anche un certo grado di malafede.
I conflitti in Medio Oriente prima che sul terreno si combattono sul fronte della intelligence e della condivisione di notizie acquisite dai vari servizi segreti alleati. Passare parte di queste informazioni, per di più classificate, a una potenza alleata del peggior nemico di Israele, come la Russia lo è dell’Iran, non è certo una cosa molto intelligente da fare perché rischia di dare al nemico indicazioni sulle fonti di informazione, rischia cioè di comprometterle.
Al Mossad al momento hanno tutti le bocche cucite, l’ordine è quello di non commentare le indiscrezioni di stampa che vorrebbero essere proprio il servizio segreto israeliano la fonte delle informazioni che Donald Trump ha condiviso con i russi, un silenzio necessario specie nell’imminenza del viaggio che il Presidente americano farà in Israele, ma l’imbarazzo è evidente. Ma è altrettanto evidente che se ciò fosse vero il Mossad si troverà nella difficile situazione di dover decidere se continuare o meno a condividere informazioni sensibili con l’alleato americano con il rischio di compromettere le proprie fonti.
Ieri sera, in maniera non ufficiale, alcuni funzionari israeliani hanno un po’ ridimensionato la notizia diffusa dal New York Times secondo la quale le notizie di intelligence condivise dal Presidente Trump con i russi sarebbero di provenienza israeliana facendo intendere che alcune di quelle notizie potrebbero essere arrivate dalla Giordania. Ma il succo del discorso non cambia e la domanda resta: quanto è sicuro condividere informazioni sensibili con l’amministrazione Trump? Ieri sera l’ambasciatore americano negli Stati Uniti, Ron Dermer, ha diffuso un comunicato nel quale ribadisce che «Israele ha piena fiducia nel rapporto di condivisione di notizie di intelligence con gli Stati Uniti» ma solo il fatto che una ambasciata ha dovuto fare questa precisazione dimostra che il problema c’è ed è reale.
Stando al giornale israeliano Yediot Aharonot già il 12 gennaio scorso i funzionari della intelligence americana avevano avvertito i loro omologhi israeliani di “essere cauti nel condividere informazioni sensibili con l’amministrazione Trump”, mentre parlando al Jerusalem Post l’ex direttore del Mossad, Danny Yatom, ha detto che se venisse confermato che Donald Trump ha condiviso con la Russia notizie sensibili provenienti dal Mossad ci si troverebbe davanti a «una grave violazione dei protocolli di condivisione che potrebbe portare a compromettere la fonte o le fonti».
La situazione è molto seria specialmente in un momento così delicato per lo scacchiere mediorientale. Se il Mossad non può condividere notizie con il maggiore alleato di Israele e quindi non può analizzarle confrontandole con quelle della intelligence americana, significa dare ai nemici di Israele un indubbio vantaggio strategico che potrebbe costare molto caro. Un dilemma che al momento al Mossad non sanno come risolvere.