Bisogna dire che fa una certa impressione assistere all’assordante silenzio di certi “pacifisti” di fronte ai massacri siriani, silenzi per altro già visti in occasione dei massacri iraniani, di quelli sudanesi, di quelli somali, di quelli birmani e chi più ne ha più ne metta. La loro unica ossessione è sempre la stessa: Israele.
Eppure ce ne sarebbero di cose da dire sul mondo arabo che questi “pacifisti” vogliono difendere a tutti i costi, un mondo arabo che sembrava essersi svegliato qualche mese fa quando i giovani tunisini diedero il via a quella che i brillanti Spin doctor della sinistra chiamarono “primavera araba”, una primavera ben presto trasformatasi in un sanguinoso autunno o, nella migliore delle ipotesi, nel passaggio da una dittatura laica ad una dittatura militare e islamizzata. Come ci sarebbero tante cose da dire sui regimi arabi che opprimono milioni di persone, dall’Arabia Saudita all’Iran passando per Hamas nella Striscia di Gaza. Eppure ad essere sempre sotto tiro dei cosiddetti “pacifisti” è l’unica democrazia presente in Medio Oriente: Israele.
C’è da chiedersi perché avviene tutto questo. Perché le grandi cosiddette organizzazioni per la difesa dei Diritti Umani (penso ad Amnesty, ridenominata Amnesy e a Human Rights Watch) siano così impegnate nella denigrazione delle democrazia israeliana e chiudano gli occhi sulle violazioni da Corte Penale Internazione che avvengono nei Paesi Arabi del bacini del Mediterraneo e del Medio Oriente? Perché i movimenti “pacifisti” migrano in massa verso le coste di Gaza (penso alla costosissima flotilla) e non organizzano una sola manifestazione di protesta per la Siria?
Io una mezza idea me la sono fatta seguendo un vecchio ma sempre valido consiglio di Giovanni Falcone (il magistrato non il mio amico padre di Angelo): “follow the money”, segui il denaro. Intorno alla faccenda palestinese da oltre 60 anni gira un vorticoso flusso di denaro, miliardi e miliardi di dollari come non si vedono da nessun altra parte o in nessun’altra crisi mondiale. La questione palestinese costa alla comunità internazionale molto di più di quello che costa la crisi del Darfur, della Somalia e di tutto il Corno d’Africa (compreso la recentissima crisi alimentare che ha colpito la zona) messi assieme. Dietro alla vicenda palestinese ci sono interessi mastodontici e per chi sta con i palestinesi i soldi ci sono sempre in abbondanza, interessi che invece non ci sono dietro alle rivolte della cosiddetta “primavera araba”, fatta eccezione per la Libia dove però gli interessi sono diversi. Non solo, i rapporti contro Israele sono pagati profumatamente dall’Arabia Saudita e dagli emiri del Golfo, cosa che non avviene per i Paesi arabi. Chiedevi perché in un’area dove vi sono Arabia Saudita, Siria, Iran, Yemen, Egitto, Libia, Algeria, Tunisia, Marocco, Iraq, Giordania, Libano e Paesi del Golfo, tutta (o quasi) l’attenzione di queste organizzazioni sia indirizzata esclusivamente su Israele, cioè sull’unico Paese democratico in un mare di dittature. Un motivo ci sarà? Follow the money.
Ed ecco quindi che, incredibilmente, a farne le spese c’è la democrazia israeliana costantemente sotto attacco e, forse, anche quelle “primavere arabe” tanto reclamizzate dagli Spin doctor sinistroidi. Non si spiega altrimenti il silenzio sui massacri perpetrati da Assad in Siria e, prima di lui, da Ahmadinejad in Iran.
Nel frattempo la “primavera araba” si sta inesorabilmente trasformando in un grigio autunno arabo, ma questo conta poco, davvero poco, l’importante è sempre attaccare il nemico israeliano, cioè l’unica vera democrazia in tutto il Medio Oriente ma che fa guadagnare così tanto ai suoi denigratori. Follow the money e capirai tutto.