Secondo alcuni importanti analisti musulmani, vent’anni dopo l’11 settembre l’America non ha smantellato o distrutto i gruppi jihadisti, tuttavia ha fatto in modo che cambiassero radicalmente il loro modo di pensare.
Jihadisti di peso del calibro di Maysara bin Ali, meglio conosciuto come Abu Maria al-Qahtani, cioè gente che ha fatto la storia del terrorismo islamico e dello jihadismo, si sono convinti che per il momento sia più proficuo abbandonare il Jihad globale e concentrarsi sul locale.
Questo non perché si siano ammorbiditi o perché abbiano cambiato le loro idee sulla Jihad globale, ma perché hanno capito che grandi operazioni come lo è stata per esempio la creazione dello Stato Islamico, provocano risposte armate di grandi proporzioni da parte di eserciti moderni contro le quali lo Jihadismo può poco o niente.
La vittoria dei talebani
Molti jihadisti come Maysara hanno sfidato sia lo Stato Islamico che al Qaeda a favore di una nuova strategia che enfatizzi il consolidamento e il mantenimento del potere a livello regionale invece di condurre una jihad globale contro l’Occidente.
A convincere questi “grandi terroristi” che è arrivato il momento di cambiare strategia sono stati i Talebani afghani e la loro vittoria sugli Stati Uniti e sugli eserciti di mezzo mondo.
In sostanza, il successo dei talebani è la prova provata che la Jihad funziona veramente solo se abbinata alla diplomazia per “rassicurare l’occidente” e al mantenimento del potere a livello locale.
È la strategia della gradualità promulgata dalla Fratellanza Musulmana che si basa sui piccoli passi, sulla rassicurazione dell’occidente e quindi sulla conquista graduale e nel lungo periodo, non come fece Abu Bakr al-Baghdadi con lo Stato Islamico che provocò una reazione globale e l’intervento degli eserciti delle grandi potenze.
In venti anni i talebani non hanno mai smesso di lavorare ai fianchi del nemico americano ma allo stesso tempo hanno lavorato anche a livello diplomatico tanto da portare gli americani ad accettare colloqui diretti con loro, che vuol dire riconoscimento, in Qatar.
Ciò che rende speciale questa “trasformazione” è che viene portata avanti da importanti jihadisti che hanno operato sia sotto Al Qaeda che sotto lo Stato Islamico, sono cioè ai vertici della cupola jihadista.
Capire questo cambiamento diventa quindi di fondamentale importanza per le intelligence occidentali perché il cambio di strategia della cupola jihadista inciderà anche nel modo di fare jihad, inciderà e non poco sulla strategia del terrorismo islamico.
La cupola della jihad
Ma l’obiettivo primario e del tutto fuori dall’ordinario di gente come Maysara è quello di superare il jihadismo confessionale e di unire una volta per tutte lo jihadismo sciita con quello sunnita in una sorta di cupola della jihad.
E sono sempre i talebani a fare scuola, loro, sunniti che non disdegnano importanti collaborazioni con gli sciiti iraniani, quella collaborazione già vista nella Striscia di Gaza tra Hamas e i Guardiani della Rivoluzione (IRGC).
Persino Erdogan, che ormai si ritiene il capo incontrastato della Fratellanza Musulmana, si sta convertendo all’idea del superamento della jihad confessionale.
Rimangono i forti dubbi di Al Qaeda e di quello che rimane dello Stato Islamico i quali non amano molto la tattica dei piccoli passi e della infiltrazione lenta ma progressiva che invece vorrebbero quelli della cupola della Jihad.
Ma credo davvero che ormai sia tutto deciso, specie se jihadisti storici del calibro di Maysara (Abu Maria al-Qahtani) credono che la via da seguire per la prossima jihad sarà questa. E sarà meglio (davvero) aprire gli occhi, perché questa strategia è più subdola, meno evidente e quindi pericolosissima.