L’attacco portato al cuore dell’Uganda dagli estremisti islamici somali di Al Shabaab è stato inaspettato e devastante. Due attentati kamikaze avvenuti domenica sera a Kampala hanno fatto 74 morti e decine di feriti tra cui moltissimi in gravissime condizioni. Ieri la rivendicazione da parte di Al Shabaab arrivata da Mogadiscio per mezzo di un comunicato stampa che conferma i primi sospetti, cioè che ci fosse il gruppo islamista somalo dietro agli attacchi.
Ora si apre in Uganda una fase decisamente insolita per il piccolo Paese africano. Infatti, se è vero che gli ugandesi sono abituati ad essere in guerra (con l’Lra di Joseph Kony la guerra va avanti da oltre 20 anni) è altrettanto vero che non sono abituati ad attacchi terroristici di questa portata, per di più di chiara matrice islamica. L’attacco portato dagli estremisti somali a Kampala, oltre alle vittime della prima ora, rischia di fare anche vittime nel lungo periodo, cioè la numerosa comunità somala presente in Uganda e più in generale la comunità islamica non autoctona. Già ieri sera arrivavano da Kampala notizie di arresti tra i somali ospitati in Uganda, per lo più personaggi legati a diverse organizzazioni umanitarie islamiche che operano nel Paese. Secondo un portavoce della polizia ugandese durante una perquisizione sarebbe stato rinvenuto anche un giubbotto esplosivo di quelli usati dai kamikaze.
I servizi segreti ugandesi da diversi mesi tengono sotto controllo le attività di queste organizzazioni umanitarie islamiche alcune delle quali legate direttamente a diversi gruppi terroristici internazionali. Nelle ultime settimane le attenzioni dei servizi segreti ugandesi si erano concentrate in particolare su alcuni centri islamici della periferia di Kampala dove venivano segnalati sempre più spesso sermoni aggressivi pronunciati dagli Imam a favore della Jihad e più in generale contro la presenza delle truppe ugandesi in Somalia. In particolare sono state controllate alcune organizzazioni umanitarie islamiche che operano nell’area ad alto tasso islamico di Natete dove ogni giorno vengono accolti decine di profughi provenienti per lo più dal Corno d’Africa. Messa sotto controllo anche una scuola islamica che sembra legata ad ambienti estremisti. Il sospetto è che dietro alla facciata dell’intervento umanitario si nascondano in effetti altri obbiettivi. La “teologia del container” adottata a pieno regime alle organizzazioni islamiche negli ultimi anni ha permesso di aumentare a dismisura il numero dei convertiti all’islam in Uganda, cosa questa che preoccupa notevolmente il Governo ugandese. A questo vanno aggiunte le numerose comunità pakistane e indo-musulmane che controllano la maggioranza degli store e dei mercati alimentari decidendo all’unisono i prezzi da applicare alla popolazione cosa questa che permette loro di avere il pressoché pieno controllo del mercato alimentare specialmente quello delle piccole e medie città. Anche buona parte di queste attività sono state avviate (e vengono tutt’ora avviate) con aiuti provenienti dalle organizzazioni umanitarie islamiche che così facendo controllano sia il mercato alimentare che quello legato alla succitata “teologia del container” quella forma cioè di aiuto che viene destinata solo agli appartenenti alla propria fede o a coloro che si dichiarano convertiti.
Questa situazione, sebbene piuttosto evidente in Uganda e causa di diversi allarmi dei servizi segreti, è stata fino ad oggi ampiamente sottovalutata dal Governo ugandese che ora si ritrova una vera e propria “bomba islamica” tra le mani. Per questo motivo già dalle prime ore successive agli attentati la polizia ugandese coadiuvata da reparti dei servizi segreti ha concentrato la sua attenzione sulle molteplici attività di queste cosiddette organizzazioni umanitarie islamiche. Obbiettivo del Governo è andare fino in fondo su tutte le attività finanziate dalla “carità islamica”. Un occhio particolare viene dedicato ai centri di cultura islamica che accolgono i profughi del Corno d’Africa. Da uno di questi sembrano essere partiti i due attentatori suicidi che, per quel poco che si è saputo, risiedevano in Uganda da diversi anni.
Gli Stati Uniti (storici alleati dell’Uganda) e altri Paesi europei hanno messo a disposizione del Governo ugandese tutti i loro dati di intelligence che possano in qualche modo aiutare gli ugandesi a scoprire la rete di Al Shabaab nel Paese e, soprattutto, che aiutino le autorità ugandesi a prevenire altri attacchi. Infatti il timore più diffuso in questo momento a Kamapala è che si sia solo all’inizio di una campagna di attentati più vasta e volta a costringere l’Uganda a ritirare le truppe di pace dalla Somalia.
Secondo Protocollo