Ieri leggevo il rapporto annuale sull’odio antiebraico diffuso dal Stephen Roth Institute e lo paragonavo alla ricerca del Centro di analisi strategiche per il medio oriente (CASMO) di cui abbiamo parlato in questo articolo. I dati purtroppo sono terribilmente simili il che conferma che è in atto una vera e propria esplosione di antisemitismo.
Quello che però né il rapporto del CASMO né quello dello Stephen Roth Institute hanno messo in luce, sono le ragioni di questo spropositato aumento di episodi antisemiti. Logico che le ragioni sono diverse ma sia in un caso che nell’altro sembra che l’unico comun denominatore sia una forte espansione del nazi-islamismo, inteso come una sorta si unione tra nazismo e islamismo dove nel termine “nazismo” vanno inseriti anche tutti quei gruppi apparentemente di estrema sinistra ma con ideologie che si rifanno al nazional-socialismo più puro, specie per quanto riguarda il rapporto con gli ebrei.
Già altre volte avevamo segnalato questa anomalia (in questo articolo e in questo) ma negli ultimi tempi quella che ai più poteva sembrare appunto una anomalia è diventata la norma, specie se ad unire i fronti nazista e comunista ci sono gli islamisti. Il dott. Moshe Kantor nel presentare il rapporto dello Stephen Roth Institute non ha parlato a caso di “bomba ad orologeria” con riferimento all’Europa. L’aumento dei casi di violenza contro gli ebrei (+27%) è andato di pari passo con l’aumento della presenza islamista in Europa (+24%) e con quello di certi rigurgiti del passato come il nazismo (+33%) e il comunismo (+18%). Questi dati non possono non far riflettere anche perché in particolare l’alleanza tra islam e nazismo è molto evidente ed è chiaramente radicata in alcune società nord europee come in Gran Bretagna, in Norvegia, in Svezia ecc. ecc. Ina alcuni casi addirittura si assiste a manifestazioni antisemite da parte di personaggi od organizzazioni che si definiscono di sinistra ma che hanno i chiari connotati delle organizzazioni naziste.
A mio parere è riduttivo, come fanno alcuni, limitare il tutto ad una sorta di confusione tra nazismo, comunismo e islamismo uniti dall’odio antiebraico e divisi su tutto il resto. In parte può anche essere vero, ma l’ideologia pura di certi personaggi, che si qualifichino di destra, di sinistra o islamisti, è quella del nazismo più bieco, quello dei campi di sterminio e della Shoa. Specie nel mondo islamico, compreso quello moderato (ammesso che esista un islam moderato), l’idea che Israele possa essere distrutto piace all’81% delle persone mentre invece l’idea che gli ebrei siano una razza da distruggere, trova d’accordo oltre il 75% delle persone (fonte CASMO).
Ora, ammesso che questi dati siano veri (ma io penso che siano in difetto) si capisce perché Moshe Kantor ha parlato di bomba a orologeria riferendosi all’Europa e all’antisemitismo. Io però voglio andare oltre e spiegare perché per me il rischio non è solo per gli ebrei ma anche per tutti gli altri che non sono né islamici né nazi-comunisti. Vediamo per esempio cosa succede in altri teatri dove i nazi-islamici non hanno un “problema ebraico” da affrontare (penso alla Nigeria, alla Somalia, al Pakistan, all’Afghanistan ecc. ecc). Quali sono i loro obbiettivi? Non sono forse i cristiani? E se guardiamo ai pochissimi dati disponibili riguardo all’odio dei nazi-islamici verso i cristiani in questi paesi vedremmo che sono incredibilmente simili a quelli dell’odio antisemita in Europa. Ora la domanda da porsi è questa: se in Europa non ci fossero ebrei, verso chi si indirizzerebbe l’odio nazi-islamico? Succederebbe esattamente come succede in altri contesti dove il “problema ebraico” non c’è. L’obbiettivo dell’odio diverrebbero i cristiani e i non nazi-islamici.
Cosa voglio dire con questo? Voglio dire che se oggi chi non è ebreo guarda distrattamente a quello che sta avvenendo in Europa alle persone di fede ebraica, in un domani non troppo lontano sarà lui a trovarsi nelle stesse condizioni in cui oggi si trova l’ebreo. Perché dopo gli ebrei toccherà ai cristiani, questo è certo.
Ecco perché è importantissimo che i popoli e i governi europei non sottovalutino l’esplosione di antisemitismo a cui si assiste in Europa, perché è solo l’antipasto di un disegno ben più grande. Risolto il “problema ebraico” inizieranno ad affrontare il “problema cristiano”. Al contrario, stroncando decisamente questa campagna d’odio antisemita e l’espandersi del nazi-islamismo, l’Europa non farà solo un atto dovuto nei confronti del popolo ebraico, ma farà anche un piacere a se stessa.
Miriam Bolaffi
A tale proposito vorrei ricollegarmi a quanto scritto riguardo all’articolo “chi rappresenta israele nei colloqui” per sottolineare alcuni elementi che, per brevità, non ho considerato.
Il multiculturalismo, ormai se ne sono accorti proprio tutti, è fallito per una sua contraddizione interna.
Tale ideologia, infatti, postula la possibilità per una società di far convivere in maniera pacifica e armonica visioni opposte della società stessa. Questo postulato è inscindibile dal liberalismo occidentale che, appunto, è un modello culturale, per cui il paradosso è che il multiculturalismo funziona solo se i vari soggetti condividono la cultura liberale occidentale, ossia in parole povere se il multiculturalismo non c’è.
Come non è immaginabile una armonica convivenza tra un modello occidentale democratico e il fascismo, o comunismo, come non si può concepire che una tribù dimenticata amazzonica pratichi, in nome del rispetto per le culture “altre” il cannibalismo a Milano o a Roma, così non si può pensare di conciliare la Sharia con le democrazie liberali.
Questo, ovviamente, non implica l’impossibilità di convivenza con minoranze islamiche, ma questa convivenza è possibile solo a patto che queste minoranze siano tali, ossia numericamente irrilevanti.
Le tendenze demografiche, tuttavia, unite al persistere di forti flussi migratori, danno un quadro molto diverso e potenzialmente letale per la nostra visione della democrazia che si basa non solo sulla partecipazione attiva dei cittadini alla vita pubblica, ma sulla netta separazione dei poteri e, soprattutto, della sfera religiosa, di pertinenza individuale da quella politica, divisione che, piaccia o non piaccia, non esiste nell’islam.
L’aumento esponenziale della presenza islamica in Europa non può che portare a una serie di problemi che, inevitabilmente, finiranno per sfociare nella violenza o, a essere ottimisti, nella disgregazione della nostra identità e nell’ingovernabilità del sistema.
A livello di politica internazionale, che è ciò che questa testata tratta prevalentemente, è realistico aspettarsi che, con l’aumentare esponenziale del peso elettorale del voto islamico vengano riconsiderate le posizioni e le alleanze in quanto i politici non potranno che cercare il consenso, imprescindibile per governare in un modello democratico come il nostro, con l’effetto che per governare uno stato democratico si dovrà fare l’occhiolino a stati non democratici, spinti peraltro da una serie di scelte spaventosamente miopi non solo in ambito culturale (dettate dall’ideologia di sinistra) ma anche economiche, quali la dipendenza totale dalle importazioni di idrocarburi che sono nella disponibilità esclusiva di pochi stati non democratici (e in questo caso la colpa è di chi, a livello politico o imprenditoriale, da questa dipendenza ha tratto a breve grandi guadagni e si è disinteressato dei terribili effetti a lungo termine sulla nostra indipendenza in politica estera)
A tale proposito vorrei ricollegarmi a quanto scritto riguardo all’articolo “chi rappresenta israele nei colloqui” per sottolineare alcuni elementi che, per brevità, non ho considerato.
Il multiculturalismo, ormai se ne sono accorti proprio tutti, è fallito per una sua contraddizione interna.
Tale ideologia, infatti, postula la possibilità per una società di far convivere in maniera pacifica e armonica visioni opposte della società stessa. Questo postulato è inscindibile dal liberalismo occidentale che, appunto, è un modello culturale, per cui il paradosso è che il multiculturalismo funziona solo se i vari soggetti condividono la cultura liberale occidentale, ossia in parole povere se il multiculturalismo non c’è.
Come non è immaginabile una armonica convivenza tra un modello occidentale democratico e il fascismo, o comunismo, come non si può concepire che una tribù dimenticata amazzonica pratichi, in nome del rispetto per le culture “altre” il cannibalismo a Milano o a Roma, così non si può pensare di conciliare la Sharia con le democrazie liberali.
Questo, ovviamente, non implica l’impossibilità di convivenza con minoranze islamiche, ma questa convivenza è possibile solo a patto che queste minoranze siano tali, ossia numericamente irrilevanti.
Le tendenze demografiche, tuttavia, unite al persistere di forti flussi migratori, danno un quadro molto diverso e potenzialmente letale per la nostra visione della democrazia che si basa non solo sulla partecipazione attiva dei cittadini alla vita pubblica, ma sulla netta separazione dei poteri e, soprattutto, della sfera religiosa, di pertinenza individuale da quella politica, divisione che, piaccia o non piaccia, non esiste nell’islam.
L’aumento esponenziale della presenza islamica in Europa non può che portare a una serie di problemi che, inevitabilmente, finiranno per sfociare nella violenza o, a essere ottimisti, nella disgregazione della nostra identità e nell’ingovernabilità del sistema.
A livello di politica internazionale, che è ciò che questa testata tratta prevalentemente, è realistico aspettarsi che, con l’aumentare esponenziale del peso elettorale del voto islamico vengano riconsiderate le posizioni e le alleanze in quanto i politici non potranno che cercare il consenso, imprescindibile per governare in un modello democratico come il nostro, con l’effetto che per governare uno stato democratico si dovrà fare l’occhiolino a stati non democratici, spinti peraltro da una serie di scelte spaventosamente miopi non solo in ambito culturale (dettate dall’ideologia di sinistra) ma anche economiche, quali la dipendenza totale dalle importazioni di idrocarburi che sono nella disponibilità esclusiva di pochi stati non democratici (e in questo caso la colpa è di chi, a livello politico o imprenditoriale, da questa dipendenza ha tratto a breve grandi guadagni e si è disinteressato dei terribili effetti a lungo termine sulla nostra indipendenza in politica estera)