Ricordate il carcere di Kahrizak dove venivano rinchiusi, torturati, violentati e spesso uccisi i giovani manifestanti iraniani e chiuso dopo la nostra denuncia all’Onu? Ebbene, il regime dittatoriale iraniano a deciso di riaprirlo in concomitanza con l’introduzione di nuove leggi che limitano ulteriormente la libertà delle persone.
Lo rendono noto esponenti della dissidenza iraniana, allarmati dalla concomitanza degli eventi e dalla eventualità che il carcere sia stato riaperto in previsione di nuovi e massicci arresti ai danni degli oppositori al regime e in particolare delle donne, vista anche la stretta voluta dagli Ayatollah sull’abbigliamento femminile.
E così mentre le Nazioni Unite fanno entrare l’Iran nella Commissione per la difesa dei Diritti delle donne, il regime iraniano impone regole ancora più rigide sull’abbigliamento femminile e, giusto per far capire che fa sul serio, riapre il carcere di Kahrizak con il nuovo nome di Soroush 111.
Il carcere segreto di Kahrizak, una vera e propria Guantanamo iraniana di cui nessuno sapeva niente, era stato chiuso dopo la denuncia alle Nazioni Unite da parte dii Secondo Protocollo e di altre associazioni. Il regime iraniano aveva dovuto ammettere che in quel carcere venivano commessi terribili crimini contro i giovani iraniani arrestati durante le manifestazioni post-elettorali. Il direttore del carcere e diversi secondini erano stati denunciati dalla magistratura iraniana (ma non arrestati come si era voluto far credere) per poi essere assolti da ogni accusa, visto che agivano per nome e per conto di Ahmadinejad e dei sui sgherri.
La riapertura del carcere di Kahrizak (o Soroush 111) dimostra, se ce ne fosse bisogno, che le Nazioni Unite con l’ammissione dell’Iran nella commissione dei Diritti delle donne hanno letteralmente toccato il fondo, per cui ribadiamo ancora una volta il nostro appello a tutti gli Stati membri dell’Onu: interrompere immediatamente qualsiasi forma di finanziamento alle Nazioni Unite e studiare senza perdere tempo una valida alternativa a questo organismo ormai arrivato alla fine.
Sharon Levi
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